«In heiliger Glut». Prezzolini e i Frammenti di Novalis
VII. La poetica del frammento, ovvero: del traduttore come mitologo
La legittimazione a quest’operazione di manipolazione della sua fonte viene a Prezzolini dalle stesse parole di Novalis e pertanto, nel primo paragrafo dell’ampia sezione dedicata ai frammenti, intitolata programmaticamente “Intorno ai frammenti”, egli raccoglie tutti quei pensieri in cui il poeta tedesco si esprime sul frammento come di una forma dotata di un significato e di un potere intrinseco, attivabile in modo diverso a seconda dei tempi e degli spazi, dell’ottica del lettore e del suo “traduttore”.
Non è un caso che il frammento posto in apertura costituisca una sorta di programma e di ammonimento:
Chi prenderà alla lettera frammenti di questa sorta, potrà bene essere un uomo stimabile – soltanto non si gabelli per un poeta. C’è forse bisogno di essere sempre prudenti? Chi è troppo vecchio per fantasticare, eviti pure le riunioni dei giovani. Ora è il tempo dei saturnali letterari. Quanto più è variopinta la vita, tanto è migliore.
(Novalis, Frammenti, 53)
I giovani a cui Prezzolini pensa sono certamente gli intellettuali fiorentini della sua cerchia, privi ancora di capitale simbolico, economico e culturale ma dotati di coraggio di sperimentazione. Attraverso l’arte, la filosofia, la poesia (che nel caso di Novalis coincideva con la filosofia) ai giovani intellettuali era concesso la fruizione di quello spazio di sovvertimento offerto dal saturnale: sono loro, i giovani, che attraverso un nuovo uso degli strumenti offerti dal passato avrebbero potuto riformulare il patrimonio culturale del paese orientandolo verso modelli significativi.
Facendo sue le parole di Novalis secondo il quale:
[i]o mostro d’avere compreso uno scrittore soltanto allora quando io posso operare secondo il suo spirito, e senza rimpicciolire l’individualità posso tradurlo e cangiarlo in vario modo.
(Novalis, Frammenti, 54-55)
Prezzolini può operare liberamente con il materiale del poeta tedesco, selezionando, ordinando e disponendo materiali e idee secondo un tentativo di ricodificazione di significati, secondo una “visione” personale avallata, in nuce, dallo stesso Novalis. Questa gli consente anche una ‘nuova narrazione’ dei materiali del poeta romantico, filtrati attraverso delle necessità contingenti e adeguate alla propria scala di valori e alle personali inclinazioni di pensiero.
Anche l’idea del traduttore ‘narratore’, scopriremo, non è frutto di una personale posizione prezzoliniana, ma risponde a una possibilità che Novalis stesso contempla nella sua visione del sistema poetico-filosofico:
Una traduzione è, o grammaticale, o metamorfica, o mitica. Le mitiche sono traduzioni nel migliore stile. Esse riescono a mostrare il puro e completo carattere dell’opera individuale. Non ci dànno proprio la reale opera d’arte, ma piuttosto ce ne danno l’ideale. Per quanto ne sappia non ne esiste ancora alcun completo esemplare. Però se ne scoprono chiare traccie {sic} nello spirito di parecchie critiche e descrizioni. A produrle occorre una testa dove si siano completamente penetrati lo spirito poetico e lo spirito filosofico. La mitologia greca rappresenta in parte una traduzione di quel genere, della religione nazionale. Anche la moderna Madonna è un mito di quel genere. Le traduzioni grammatica sono traduzioni nel senso più comune. Richiedono molta erudizione – ma qualità puramente discorsive.
Tra le traduzioni metamorfiche occorre perché siano pure, un altissimo spirito poetico. Esse sfiorano leggermente il travestimento – come l’Omero in giambi del Bürger tradotto da Pope, e le traduzioni francesi tutte quante insieme. Il vero traduttore di questo genere deve essere egli stesso un artista, e poter rendere l’idea del tutto così o così a suo piacimento. Egli deve essere il poeta del poeta, e potere far leggere secondo la sua e secondo l’idea propria al poeta.
In un rapporto simile a questo sta il genio della umanità con ogni singolo uomo.
Non solo i libri, ma tutto può esser tradotto in queste tre maniere.
(Novalis 1914, 54)
Il frammento rappresenta un punto centrale non solo del paragrafo ma dell’intera introduzione al volume, nella quale, facendo aperto riferimento alla terminologia novalisiana, in numerosi passaggi Prezzolini rimarca la tipologia di traduzione che il lettore si troverà dinnanzi. Si tratta della prima vera e propria presa di posizione di Prezzolini sul problema della traduzione verso il quale non aveva ancora, fino a quel momento, espresso alcuna posizione chiara e strutturata [14].
Esclusa l’eventualità di proporre una lettura grammaticale, poiché evidenti sono ai suoi occhi le debolezze linguistiche che ancora compromettono la sua traduzione dei testi – «talora molto libera, talora molto letterale» (Prezzolini 1914, 37) – e nella consapevolezza di non possedere quelle qualità poetiche necessarie a “riscrivere” il pensiero di Novalis, adottando un gesto “metamorfico” di traduzione del testo, Prezzolini si riconosce invece dotato di quelle qualità intellettuali utili a penetrarne spiritualmente i frammenti e a rileggerli, dunque, riattivando i significati latenti dell’opera d’arte, che solo una distanza, geografica, temporale o linguistica, può aiutare a riconoscere.
Un tale tipo di traduzione, precisa Prezzolini nell’introduzione, deve necessariamente operare secondo una «logica dinamica, più elastica, più mobile, più capace di rivestire la realtà» (Prezzolini 1914, 34) e in tal senso sarà possibile comprendere appieno lo spirito con il quale Prezzolini raccoglie una scelta di frammenti atti a costituire una sezione denominata “Will to believe”. Si tratta, ovviamente, di un falso filologico: è storicamente e culturalmente impossibile che Novalis – scomparso nel primi anni dell’Ottocento – potesse avere conoscenza della dottrina di uno dei padri del pragmatismo e del funzionalismo sviluppatosi in America solo tra la fine quello stesso secolo e l’inizio del successivo: William James. Convinto sostenitore, insieme al collega Peirce, che il senso vero di un’idea o di una teoria fosse dimostrabile solo utilizzando un metodo pratico-sperimentale che ne comprovasse il funzionamento reale, nel suo Will to believe (1897), James esplora anche quei casi in cui le idee dell’individuo singolo trascendono la realtà empirica e verificabile. Posto di fronte alle grandi questioni filosofiche sulla scienza e sulla vita, l’uomo ha dunque il diritto di selezionare una fede che, al pari di uno strumento di verifica, gli consenta di trovare delle risposte.
La traduzione dei frammenti di Novalis costituirà per Prezzolini un nuovo passo sulla strada della conoscenza filosofica di tipo mistico, di una ‘scienza’, cioè, che non è un sistema scolastico di formule, ma una cosa vitale e animata, all’interno della quale la conoscenza si ottiene con uno sforzo di assimilazione: «Per conoscere bisogna farsi simile all’oggetto, o renderlo simile a noi. Il conoscere ha grande somiglianza con il nutrirsi; è uno sforzo d’impossessamento» (Prezzolini 1914, 34). È per questo che nel suo lavoro di trasposizione del testo nella nostra lingua, Prezzolini può affermare di aver: «cercato di dare il mio Novalis, più che un Novalis ad uso e consumo di tutti […]» (Prezzolini 1914, 39).
I rischi connessi all’azione di eccessivo “possesso” dei materiali novalisiani, come accennato, verranno a galla nelle accese polemiche che la traduzione suscitò all’indomani della sua pubblicazione. Esse, tuttavia, non saranno sufficienti a impedirgli di gettarsi a capofitto in una nuova esperienza di traduzione, forse ancora più insidiosa della precedente e nella quale, molto del materiale novalisiano, ormai introiettato, confluirà in forma rinnovata.
Se infatti (cfr. Finotti 1992, 55), uno dei fini della traduzione di Prezzolini era stato quello di liberare il testo di Novalis dalla lettura estetico-simbolista, neoromantica e decadente nella quale lo aveva relegato la versione del Maeterlinck, per ricollocarlo nel solco delle riflessioni sulla modernità, centrata su un’idea dinamica e plurimorfa del sapere, questo aspetto rappresentava anche uno dei suoi limiti più grandi. Ben conscio che con Novalis la tradizione della grande mistica tedesca stesse dunque esplorando i suoi limiti arrischiandosi nella strada senza ritorno dell’“intossicamento idealista”, Prezzolini ritiene necessario fare un passo indietro nel tempo e dedicare i suoi lavori successivi a testi e personaggi della mistica medievale. Il lavoro di traduzione al Libretto della vita perfetta d’ignoto tedesco del secolo XIV (1908) e la più tarda raccolta di Studi e capricci sui mistici tedeschi, sebbene non lontanissimi dalla presa di coscienza della necessità di istituzionalizzare la figura professionale del traduttore – questione sulla quale rifletterà anche Daria Biagi [15] – lo porteranno a confrontarsi con una nuova esperienza di traduzione, non solo linguistica ma anche culturale, in cui le forme di appropriazione, ormai sperimentate attraverso il lavoro ai testi del «dilettante mistico incosciente» Novalis (Prezzolini 1914, 28) avranno ancora un peso ragguardevole.
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