«In heiliger Glut». Prezzolini e i Frammenti di Novalis
IV. Novalis: un «mistico …. come me»
Nell’ottobre 1904 Prezzolini scrive infatti a Dolores: «Lavoro molto. Sto persino traducendo per un editore dal tedesco le poesie di Novalis […]; egli mi somiglia molto; mistico … come me» (Prezzolini 1993, 160).
Della traduzione di queste poesie sembra non restare altra traccia che gli ultimi versi del quarto degli Inni alla notte, trascritti in una nuova lettera a Dolores. È in particolare l’ultimo verso a lasciare su Prezzolini una traccia profonda: il “sacro ardore” (In heiliger Glut) nel quale il poeta tedesco dichiara di morire ogni notte costituirà per Prezzolini un motto irrinunciabile che non solo contrassegnerà da quel momento in poi la sua carta da lettere (Prezzolini 1993, 183), ma sarà anche testimonianza di un silente rispecchiamento nella figura di Novalis. A entrambi è infatti comune una logorante sofferenza fisica dovuta agli effetti della tisi nel caso di Novalis e a una predisposizione alle febbri nervose nel caso di Prezzolini. Ambedue hanno sviluppato una comune tendenza a sublimare la passione amorosa in un costante esercizio di scrittura e comune a entrambi è, inoltre, anche il ricorso a uno pseudonimo atto a dividere «l’uomo teorico dal pratico», così che Friedrich von Hardenberg, alias Novalis, potesse essere considerato il «salvacondotto terreno» di Giuseppe Prezzolini, alias Giuliano il Sofista, «che vive fuori dal mondo» (Prezzolini 1914, 24) [9].
Per tutta questa serie di motivi di identificazione è dunque possibile affermare che nel progressivo avvicinarsi all’opera di Novalis, descritto come un “figlio obbediente – fidanzato amoroso – studente scapestrato – impiegato ordinario – amico di borgomastri – convitato di professori […]» (Prezzolini, 1914, 15), Prezzolini stia in realtà parlando di sé, continuando con il poeta tedesco quel dialogo già avviato nel 1903 con il suo alter ego Giuliano tra le pagine de La vita intima. Già in quella sorta di diario spirituale, infatti, Prezzolini non solo ammetteva l’esistenza in certe anime moderne «di un’estetica, più raffinata della comune che non può ammirare le arti alla loro prima sorgente, ma le preferisce passate attraverso un’altra, oppure riflesse e trasformate da qualche singolare mente umana o periodo storico», (Prezzolini 1903, 13) ma sperimentava la forma romantica e novalisiana par excellence, quella del frammento, il cui fascino consisteva nella libertà che ciascuno poteva assumersi di renderla più completa a proprio arbitrio, mettendo alla prova le potenzialità nascoste nelle proprie facoltà creative.
Il senso di elezione sottinteso all’utilizzo di una forma in fieri come quella del frammento rappresenta dunque un altro punto di contatto tra la figura di Novalis e quella di Prezzolini, accomunate da un ultimo e centrale elemento: l’utilizzo indistinto dei termini mistica e misticismo per indicare un desiderio di solitudine totale e necessaria a educare se stessi alla volontà e al ripiegamento in sé. Si tratta di una mistica dell’interiorità che cerca nel misticismo, e in particolare nell’elemento ctonio, quello sfondo ideale per la liberazione dell’istinto creativo: «verso la notte, verso il mistero, verso il segreto è la nostra azione – tu lo sapevi, Novalis che inneggiavi alle notti», scrive Giuliano tra le pagine del «Leonardo» (Prezzolini 1904 b, 7), avviandosi verso la definizione di Novalis come “il profeta dell’Uomo-Dio” (Prezzolini 1914, 12), in quello stesso senso non escatologico di Uomo-Dio che Papini enucleava in quegli anni, ovvero quello di un essere all’interno di ciascuno di noi, nel quale tutti i contrasti e le diffrazioni dell’io si andavano appianando [10].
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