Tra umorismo e satira: donne americane e donne italoamericane nella narrativa di John Fante
In Full of life, la satira di Fante nei confronti della madre è facilona e calcolato tributo al lettore americano. Ma nella Confraternita del Chianti, come già in Aspetta primavera, Bandini, diventa una satira amara, e il sentimento d’umiliazione del protagonista nei confronti della madre potrebbe rivelare anche la sofferta impossibilità da parte dell’autore di delineare questa figura femminile con colori meno opprimenti, con altri desideri che non quelli legati alla famiglia e al rosario, con più spazio oltre quello della cucina – e con altri strumenti che non la satira.
In questo romanzo, pubblicato nel ’77 (39 anni dopo Aspetta primavera, Bandini), Henry Molise fa visita ai suoi. A un certo punto, mentre si trova al telefono con la moglie Henriette, sua madre gli strappa la cornetta di mano. Deve chiedere un favore alla nuora, ovvero permettere al marito, suo malgrado, di restare più a lungo del previsto per aiutare il padre a fare un lavoro. La madre comincia a parlare alla nuora con inglese scorretto, di matrice italoamericana, il che risveglia nel figlio quel vecchio senso d’umiliazione, quel complesso d’inferiorità che aveva sentito da giovane:
Eccola di nuovo, con quel suo modo ipocrita di lusingare Harriet, quell’inchinarsi come una serva al cospetto di una baronessa, una forma di autodegradazione tale che anche la sua facoltà di parola ne risentiva. Nata a Chicago, e a conoscenza della sola lingua inglese, mia madre ciononostante parlava come un’emigrante napoletana fresca di sbarco ogni volta che le capitava di sentire Harriet. (Fante 1999: 65)
Trentanove anni dopo, la madre, ancora, avverte uno spazio siderale fra sè e le donne americane. Per comunicare con un’americana e chiederle un favore (benché questa americana sia sua nuora!) si pone nei suoi confronti “come una serva nei confronti di una baronessa”; lo fa riconoscendo la sua colpa – l’italianità – anzi ostentandola come fosse una dichiarazione di inferiorità. Parlando “come una napoletana fresca di sbarco” diventa italiana alla quintessenza – benché in realtà, sottolinea il figlio narratore, fosse nata a Chicago e conoscesse solo l’inglese.
In Full of life, Joyce (moglie di John e nuora della dispensatrice di trucchetti superstiziosi) è un’atea che scopre la fede cattolica durante la gravidanza, come se cattolicesimo e maternità fossero due concetti inseparabili nella narrativa di Fante. Ma se Joyce in Full of life è null’altro che una macchietta di madre americana da commedia anni ’50, l’Harriette di Il mio cane Stupido (splendido romanzo breve pubblicato postumo ma scritto alla fine degli anni ‘60) è una figura straordinaria di madre americana, vivida e memorabile.
Quali sono le differenze fra la madre italoamericana (che si ritaglia il suo ruolo maggiore in Aspetta primavera, Bandini ma è sempre presente, in diverse misure, in tutti e otto i romanzi) ed Harriette, madre dei quattro figli di Henry Molise nel Mio cane Stupido?
La prima, come abbiamo detto, è italoamericana di prima generazione; la seconda è americana (d’origine anglo/germanica). La prima è fervidamente cattolica; la seconda anglicana (ma non risulta dal testo che la religione abbia alcuna importanza per lei). La prima è povera e ha sposato un muratore italiano; la seconda viene da una famiglia facoltosa ed ha sposato un ricco sceneggiatore di Hollywood, figlio d’Italiani, ma completamente integrato. La prima è una madre prima di qualsiasi altra cosa e rarissimamente una donna; la seconda è sicuramente una madre, ma anche una donna bella e sensuale. La prima è nata all’alba del secolo, è giovane ma precocemente invecchiata in Aspetta primavera, Bandini (siamo negli anni ‘30), dovrebbe essere sulla cinquantina in Full of Life (anni ’50) ma è già molto simile alla vecchietta che è nella Confraternita del Chianti (anni ’70); la seconda è probabilmente nata negli anni ’20 e quindi ha più o meno cinquant’anni negli anni ’60 in cui è ambientato il romanzo, ma di sicuro non li dimostra.
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