Geografia poetica dell’assenza. Poeti italoamericani e l’Italia abbandonata
Gradini di polvere
Si osservi questa foto. Rappresenta uno scorcio di un’abitazione abbandonata della contrada di Case Scapini, in provincia di Parma.[5] L’arcata sovrasta una scalinata quasi completamente polverizzata che conduce a una porta chiusa. La porta chiusa, come una “soglia sul mai più” (Ciardi 1940: 3), lascia trapelare uno spiraglio del mondo che sta oltre. La linea semicircolare racchiude la scalinata come un abbraccio protettivo che avrebbe potuto significare casa e storia familiare. Ma i gradini sono ormai sabbia e non mantengono che la memoria di ciò che furono. L’essenza simbolica di quest’immagine è riflessa nella poesia che meglio descrive il paesaggio semi-cancellato dell’Italia abbandonanta: “Manocalzata” (1951) di John Ciardi, il poeta italoamericano di maggior fama. Il componimento è dedicato a Manocalzati in Campania, paese natale della madre del poeta, la signora Concetta. Eccolo, nella traduzione di Luigi Fontanella:
Manocalzata (Mano guantata)
Fuori della città dov’è nata mia madre,
vicino Avellino, c’è una roccia con scolpita una mano guantata
e così dà il suo nome al luogo: Manocalzata.
Questo è tutto quello che so. Non ci sono mai stato
più vicino di tremila miglia.
Nessuno sa a chi appartiene quella mano e perché quel guanto.
Quante volte ci ho pensato mentre cercavo un nome
per quanto non potrà mai essere nominato se non a caso
o per qualche ragione che nessuno può più ricordare?
Come un albero si copre di muschio per farsi crepuscolo
piegando il luogo dell’albero dentro la sua presenza nel tempo –
così qualcuno potrebbe lì essere nato e crederci.
Come un tuffatore resta sospeso per sempre nell’occhio
tra mare e scoglio, il fermo-azione invetriato
per sempre nell’aria del luogo del tuffo.
O semplicemente perché è più importante
ricordare di essere che essere stato, io sono
quella mano guantata e il guanto sulla mano
di una pietra ignota la cui presenza un giorno
io penetrerò (come quando ci si familiarizza con la luce del crepuscolo)
convincendomi infine di essere lì dentro presente.
(Ciardi 1951)[6]
Immediatamente dal titolo, il toponimo allerta il lettore che il regno dell’immaginazione sostituisce qui la realtà geografica.[7] Manocalzati in Irpinia diventa “Manocalzata,” “scritto scorrettamente […] a causa della pronuncia scorretta di Concetta,” la madre (Cifelli 1998: 324). Questo nome appartiene dunque alla segnaletica della memoria, fatta di quell’impasto che era la lingua degli emigranti italiani, condita d’inflessioni dialettali e antiche varianti linguistiche. Ancor oggi, molti americani d’origine italiana sono impossibilitati a ricostruire la storia familiare perché non possono individuare la città d’origine dal nome irriconoscibile. Devono solo indovinarlo. Le loro parole non hanno più il potere di nominare: “Eppure le pietre rimangono meno reali per coloro che non possono / nominarle, o leggere le mute sillabe incise nel silicio […] / nominare significa conoscere e ricordare,” scrive il poeta Dana Gioia (“Words”; Gioia 2001: 3). La lingua dello “iesse” produsse i propri personali toponimi, persi nella pronuncia e semidimenticati che, come gradini sbriciolati, non reggono più.[8]
In questo caso il cambiamento dovuto alla pronuncia evidenzia anche una scelta a livello semantico. Mentre l’etimologia del nome del paese resta a tutt’oggi incerta, Ciardi sceglie di credere nella pittoresca ipotesi che lo vede derivare da “mano calzata” da un guanto, riferendosi alla mano scalpellata sulla pietra alla base della colonna monumentale che sta in centro al paese.[9] Scegliendo quest’etimologia, Ciardi sceglie per se stesso la metafora di un vuoto non riempibile, un guanto senza mano. È la dimensione italoamericana della domanda: “Quante volte ci ho pensato mentre cercavo un nome / Per quanto non potrà mai essere nominato se non a caso / O per qualche ragione che nessuno può più ricordare?” (Ciardi 1951) chiede Ciardi, riferendosi al misterioso atto migratorio. Coloro che emigrarono sono morti e non hanno lasciato spiegazioni della loro scelta che cambiò il destino della famiglia. “Quanto non potrà mai essere nominato” è il doloroso sradicamento che appartiene al passato.
Il peso di questa cancellazione, la forza dell’assenza, è riflessa nell’abbondanza di espressioni negative nella poesia: “mai stato,” “nessuno sa,” “non potrà mai essere nominato,” “nessuno può più ricordare,” “una pietra ignota” (ivi.). Ciardi descrive il villaggio immaginato come un paese abbandonato, su cui muschio e vegetazione hanno avuto la meglio. In questa poesia, l’albero che si copre di muschio facendosi crepuscolo è il segno visivo del passato perduto. In esso, dice Ciardi, si toccano spazio e tempo. La “pietra ignota” diventerà familiare solo un giorno, forse nella morte come pietra tombale, quando gli estremi si toccheranno nuovamente e si ritroverà la strada di casa, con la sicurezza, all’ultimo, “di essere lì […] presente” (ivi.).[10]
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