Il Wilhelm Meister della «Voce» nel cantiere del romanzo italiano

5. La modernità di Goethe

Tra il 1910 e il 1913 l'uscita dei Lehrjahre viene dunque “preparata” da tutta una serie di interventi che contribuiscono a creare intorno al romanzo un'atmosfera di partecipazione e di attesa. Dal momento però che i testi circolano senza i loro contesti (Bourdieu 2002), è necessario soffermarsi a questo punto anche sull'opera in sé e per sé, così come se lo ritrovarono in mano i lettori del 1913. Determinante diventa allora l'interpretazione del romanzo data in partenza da Pisaneschi e Spaini, che si riflette nelle scelte di traduzione da loro effettivamente adottate.

È anzitutto attraverso l'introduzione al primo volume, firmata da Spaini e poi ripubblicata sulla «Voce» con il titolo La modernità di Goethe, che possiamo farci un'idea della linea interpretativa seguita dai due traduttori [12]. «Modernità» e «moderno» – i termini associati a Goethe – sono fra le parole d'ordine di questi anni: «Essere moderni!» era l'esortazione di Slataper ai giovani intelligenti d'Italia, Prezzolini pubblicava sulla «Voce» i Pensieri di un uomo moderno e il termine ispirava i titoli delle collane editoriali più innovative (Antichi e Moderni di Borgese, la Biblioteca di Cultura Moderna di Croce-Laterza...). A questa altezza temporale termini del genere non indicano tanto l'arte della Jahrhundertwende (quella che sarà più tardi riunita sotto l'etichetta di Modernismo, e che per il momento è ben poco conosciuta in Italia), ma, più genericamente, l'età moderna, che si apre alla fine del Settecento con il crollo dell'ancien régime e che ha nella rivoluzione francese e nell'affermarsi della moderna industria manifatturiera i suoi principali propulsori. «Die Französische Revolution, Fichtes Wissenschaftslehre, und Goethes Meister sind die größten Tendenzen des Zeitalters», aveva affermato Friedrich Schlegel sulla rivista Athenäum [13], esplicitando come alla fine del Settecento, almeno in Germania, questa modernità avesse già trovato i suoi teorici e i suoi poeti.

In Italia il processo di modernizzazione ha inizio almeno un secolo dopo, alle soglie dell'Unità, e gli effetti che ne derivano cominciano a diventare concreti proprio negli anni a cavallo fra i due secoli. Uno di essi è appunto la generazione “colta” degli Spaini e dei Borgese – ma anche delle donne come Pisaneschi e Mazzucchetti –, prodotto della cultura di massa e dell'istruzione obbligatoria istituita all'indomani dell'unificazione nazionale. Spaini sembra avere ben presente il senso di questo arco temporale quando assimila la vita di Goethe a quella dei geni che «previvono d'un secolo i loro contemporanei», sperimentando nello spazio di una sola esistenza ciò che le generazioni successive vedranno solo molti anni più tardi (Spaini 1913b, p. 10). Goethe, in altre parole, è «moderno» perché assiste a una frattura epocale e ne intuisce le conseguenze a lungo termine, quelle conseguenze che in Italia stanno diventando tangibili proprio negli anni in cui Spaini scrive.

Questo Goethe moderno, che ininterrottamente comprende e supera le contraddizione dell'epoca in cui vive, “nasce” per Spaini all'indomani del viaggio in Italia, quando lo scrittore ha il coraggio di staccarsi dalle sue passioni giovanili e di riprendere in mano la vicenda di Wilhelm Meister, per fare di lui un uomo finalmente votato alla «vera vita», all'«azione» (ibid., p. 14). Se prima Wilhelm vedeva e giudicava la vita attraverso l'arte (il teatro), adesso «l'ideale teatrale è sostituito da un ideale di vita», in cui il valore di un uomo si decide «nei suoi rapporti con gli altri uomini» (ibid., p. 18). È in virtù di questo passaggio che il Meister, come voleva Prezzolini, superava Werther (e, potremmo aggiungere, l'Urmeister), e con esso anche la tentazione nichilista da cui i vociani, a oltre un secolo di distanza, continuavano a sentirsi minacciati.

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