L’autonomizzazione del campo letterario italiano nel primo Novecento: i dintorni della «Voce»
Dalla rivista all’editoria
Pur partendo da una posizione marginale, Papini e Prezzolini riescono a istituire degli straordinari hub di relazioni intellettuali. Ma grazie a quali strumenti?
Il primo, naturalmente, è la rivista: in questi anni Papini fonda o progetta il «Leonardo», «Il Commento», «L’Anima», «Lirica», «Lacerba», e dopo la guerra «La Vraie Italie», mentre Prezzolini, oltre a collaborare ad alcune imprese dell’amico, è direttore della «Voce» fino alla fine del 1914. Ognuna di queste riviste è un aggregatore intellettuale: basta la vicinanza dei nomi dei redattori e degli autori a creare l’immagine e la percezione di un gruppo – immagine che a sua volta contribuisce ad attirare nuovi collaboratori. La rivista è insomma la dimostrazione sul piano delle relazioni intellettuali del detto “l’unione fa la forza”.
Il secondo e fondamentale strumento di affermazione, di networking e di creazione di una posizione intellettuale autonoma è per Papini e Prezzolini l’alleanza con l’editoria. Dapprincipio si tratta di una mossa obbligata, gagne-pain, soprattutto per Papini: mentre Prezzolini è figlio di un prefetto e gode fino alla prima guerra mondiale di una piccola rendita, Papini è figlio di un piccolo artigiano e non ha altri mezzi di sussistenza – eppure rifiuta sdegnosamente ogni strumento di guadagno che non sia la sua penna, come potrebbero essere un impiego da bibliotecario o insegnante. L’editoria paga traduzioni, prefazioni, consulenze e direzioni editoriali, in cui Papini e Prezzolini coinvolgono gli autori e i collaboratori delle loro riviste: da gagne-pain, il lavoro editoriale diventa così uno straordinario strumento per consolidare un gruppo e un progetto intellettuale.
Né l’alleanza con l’editoria né l’uso della rivista come strumento di aggregazione per creare una posizione intellettuale al di fuori delle istituzioni sono una loro invenzione, ma piuttosto di Croce. La differenza, però, è che Croce ha bisogno di Laterza e della «Critica» per affermare la propria posizione intellettuale al di fuori dell’università, ma non ne ha bisogno per vivere, mentre i giovani fiorentini hanno anche bisogno di una fonte di guadagno. Ed è questa alleanza, questo fino ad allora sostanzialmente inedito compromesso tra un’autonomia intellettuale fieramente rivendicata e una relazione professionale con l’editoria, che vedremo continuamente ripetersi per tutto il corso del Novecento.
Già sul «Leonardo» vediamo tracce della notevole consapevolezza di Papini e Prezzolini del ruolo cruciale che l’editoria può giocare nella produzione culturale:
L’editore è il mezzano intellettuale del pubblico. Ma è anche il mezzano della gloria per lo scrittore. […] Ora, in questo mondo della cassetta e del successo, in cui la grandezza è misurata dalla tiratura d’un libro, in cui ogni editore è un piaggiatore delle perturbazioni sessuali e intellettuali del pubblico, ho scoperto, per quanto sembri impossibile, un editore che vuole formare lui il pubblico, invece di esserne formato. Si tratta di Eugenio Diederichs […]. Questa fenice degli editori, si è proposto di erigere il monumento librario della coltura tedesca.
(Prezzolini 1905, 39)
Questo editore tedesco di Jena (ma la cui casa editrice era stata fondata a Firenze nel 1896) è il modello dichiarato delle prime imprese editoriali della coppia: la collana di mistici di Prezzolini «Poetae Philosophi et Philosophi Minores» e quella intitolata «Coltura dell’Anima» di Papini presso Carabba.
Quest’ultima segna l’inizio di una collaborazione che durerà fino all’inizio degli anni Venti, quando Papini troverà un alleato più prossimo e remunerativo nel tipografo fiorentino Attilio Vallecchi. È significativo che Carabba – come Laterza – sia situato geograficamente alla periferia del sistema editoriale, che ha già un centro ben definito a Milano e centri di potere alternativi a Bologna, Torino e Firenze per quanto riguarda i settori scolastico e universitario. Nel 1908 Papini aveva cercato un impiego nell’editoria milanese (presso Treves, da una parte, e al «Corriere della Sera», dall’altra), ma non ha successo: il centro di un sistema non è interessato alle innovazioni perché non ne ha bisogno, mentre un ambizioso piccolo editore periferico come Carabba (o il Laterza che si allea con Croce) sì.
Papini e Croce, Prezzolini e Marinetti
Nel 1903 Croce non è ancora il Croce che conosciamo oggi, ma non è certo un esordiente. Filosofo senza laurea, che ha rifiutato di scendere ai compromessi necessari per entrare in università, la sua posizione appare a Papini e Prezzolini un modello di quella autonomia intellettuale che desiderano perseguire, ma nessuno dei due possiede la straordinaria ricchezza o il capitale sociale di Croce, fattori che consentono a quest’ultimo di far dei “gran rifiuti” con maggior agio e facilità rispetto ad altri. Quando fonda il «Leonardo», Papini guarda alla posizione di Croce nel campo intellettuale (quella di un filosofo affermato benché privo di laurea e di cattedra, libero di prendere nette posizioni contro gli indirizzi dominanti nell’università) come a quella che aspira a occupare lui stesso. Come ha scritto Prezzolini nel suo Discorso su Giovanni Papini (1915), non senza una certa malignità: «La questione Croce-Papini si può tacere in una biografia di Croce non in una di Papini» (Prezzolini 1915a, 52).
Un articolo uscito sulla «Voce» “bianca” nel 1915 – quando cioè Prezzolini non ne è più il direttore – suggerisce che anche lui si era trovato a un certo punto di fronte una figura intellettuale insediata in una posizione simile a quella che lui stesso avrebbe voluto occupare. L’articolo si intitola Marinetti disorganizzatore, ed è una lunga disamina critica del ruolo di organizzatore culturale di Filippo Tomaso Marinetti (riguardo alla sua produzione artistica, il disprezzo dell’avanguardia fiorentina riempie le pagine della Voce fin dal 1910, e anche «Lacerba», dopo una breve alleanza, distinguerà tra autentici futuristi – i lacerbiani – e meri “marinettisti”).
Prezzolini aveva cominciato a incarnare un simile ruolo di organizzatore culturale con la «Voce»: a differenza di Papini, Prezzolini non ha (o soffoca) ambizioni letterarie in proprio, ma si vuole e si fa maieuta di altri scrittori, saggisti e artisti, sia come direttore della rivista, sia come gestore dell’impresa editoriale legata alla Libreria della Voce. L’articolo del ’15 è insomma il giudizio sull’operato di Marinetti fatto da un pari – un “collega” in parte invidioso per gli straordinari mezzi economici di cui Marinetti può disporre. Marinetti è infatti un milionario che investe la propria esistenza – ricchezza compresa – nel mondo dell’arte.
Il libro futurista non vale più nulla… Chi è mai stato così imbecille da comprare un libro futurista, quando sa che inviando un semplice biglietto da visita a F. T. Marinetti, Corso Venezia, 61, Milano, se ne vedrà scaraventar dalla posta un intero pacco, e, più tardi, riceverà regolarmente tutti quegli altri che l’officina futurista va pubblicando? […] la roba regalata val meno di quella pagata…
(Prezzolini 1915b, 511-512)
Prezzolini mette in luce quello che può sembrare un paradosso: la ricchezza che consente a Marinetti di aggregare intorno al proprio progetto altri artisti rischia di volgersi in handicap – i libri futuristi, proprio perché regalati da Marinetti nell’intento di allargare la diffusione delle opere del movimento, rischiano di essere percepiti come di nessun valore. È un cortocircuito paradossale: il valore commerciale non dovrebbe servire da criterio di valore nel mondo dell’arte, ma allo stesso tempo «la roba regalata val meno di quella pagata». Il fatto è che le edizioni futuriste pubblicano quello che vuole Marinetti, e grazie alla ricchezza di Marinetti, senza che alcun filtro di “pari” (se non appunto quello di Marinetti) li abbia vagliati, marchiati, riconosciuti e resi prestigiosi. Quel tipo di lavoro, insomma, che le case editrici cominciano a fare grazie all’ingresso al loro interno di intellettuali di prestigio come Croce, Papini e Prezzolini. Nel campo artistico e intellettuale italiano, tra l’altro, Marinetti non gode dello stesso riconoscimento di cui può avvalersi a Parigi – visto che la sua traiettoria di artista nasce lì, è il campo dell’avanguardia poetica parigina quello che Marinetti domina davvero, non quello italiano. La sua posizione di mecenate e organizzatore culturale, in definitiva, non è replicabile, perché è tanto eccezionale quanto quella di Croce. L’alleanza con l’editoria e il compromesso con il mercato, invece – la linea tracciata da Papini e Prezzolini – si ripeterà invece con successo per tutto il corso del Novecento.
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