Tra umorismo e satira: donne americane e donne italoamericane nella narrativa di John Fante
Quindi, abbiamo due tipi di madre nei romanzi di Fante: la madre italoamericana – cattolica, superstiziosa, ignorante, senza una traccia di femminilità – tuttavia capace di tenere unita la famiglia, di tenere saldo il timone della barca; e la madre americana, anglicana, atea, intellettuale, attraente, ma sconfitta nel suo tentativo di tenere unita la famiglia. Per tacere del fatto che almeno il figlio della prima, ovvero il protagonista dei romanzi di Fante, ha molto più successo (realizza il proprio sogno americano) di quanto sembra potranno mai avere i quattro figli della seconda nel Mio cane Stupido (che non hanno neppure un sogno da inseguire, e qui ci ricolleghiamo ad Aspetta primavera, Bandini: là i due italoamericani coltivavano il sogno di conquistare l’America, qui i quattro figli ormai dimentichi delle proprie radici, completamente americanizzati, non hanno più nemmeno un sogno da inseguire).
Un’ultima annotazione. Per quanto abbiamo notato con Full of life sia un romanzo costruito a tavolino e che possiamo dire con relativa certezza che qui Fante non intendeva realizzare tanto un’opera che avesse una coerenza artistica quanto un libro che in primo luogo vendesse bene, sarà curioso osservare il comportamento diJoyce, giovane moglie di John: apprestandosi a diventare madre, diventa cattolica e perde la sua femminilità. Improvvisamente, con la gravidanza, Joyce trova la fede in Dio – fino a quel momento era stata, secondo il marito: “una fredda materialista […] praticamente un’atea, aveva un approccio duro e scientifico ai fatti” (Fante 1998a: 81). Comincia a leggere Chesterton, Belloc, Thomas Merton e con la fede trova risposte a tutte le domande. La fede in Dio di Joyce viene rappresentata in modo deprivato da ogni lacerazione, come improvvisa e magica soluzione a tutti i problemi del mondo, che la inducono ad intrattenere col marito dialoghi come il seguente:
“Se Dio è bene assoluto, perché permette che nascano bambini storpi?”
Provai un immediato terrore.
“C’è qualcosa che non va con il bambino?”
“Assolutamente no. Sto facendo una domanda.”
“Non ne so la risposta.”
Sorrise soddisfatta.
“Io invece sì”.
(ivi., 81)
Il marito cerca d’opporre una fievole ironia alle rivelazioni mistiche della moglie e pensa che si tratti solo dell’ennesimo capriccio causato dalla gravidanza. Invece no: Joyce abbraccia la fede cattolica, pianifica di farsi battezzare, spende gran parte del tempo a scegliersi un santo patrono, compra rosari, una statua di Sant’Elisabetta, e un buon numero di crocefissi – nonché bottigliette d’acqua santa e un’acquasantiera di bronzo da appendere alla porta della camera da letto, sicché può farsi il segno della croce ogni volta che entra nella stanza. Infine costringe il marito a sposarla di nuovo perché la prima volta era stata una cerimonia civile e “non conta”.
Ora, la conversione di Joyce è ridicola: così repentina ed eccessiva che l’impressione è che l’autore stesso non sappia decidersi tra il serio e il faceto. Ma il resto del romanzo ci dice che sì, dobbiamo prendere seriamente il comportamento di Joyce, sorridere e colmarci di tenerezza per la gaia solarità con la quale, assieme alla maternità, scopre Dio e tutte le risposte - e non possiamo dubitare nemmeno un attimo dell’autenticità e profondità del sentimento religioso di Joyce. Insomma, improvvisamente Joyce diventa una cattolica fanatica, pericolosamente simile alla madre del protagonista.
Tuttavia: l’iper-religiosità della madre italoamericana è credibile, sia perché si tratta di uno stereotipo ben radicato nelle nostre coscienze sia perché una religiosità ostentata, spesso debordante nel rituale superstizioso, nella magia, fa storicamente parte dell’individuo italoamericano; l’iper-religiosità di Joyce, giovane donna americana (di vaste letture, si badi, e atea fino a cinque minuti prima) non è credibile, suona falsa, perché fuori contesto. Non solo per la conversione repentina ma anche perché questa fede si veste dei modi e dei riti della fede vissuta da un’italoamericana del vecchio mondo. Joyce vive la sua nuova fede in una maniera che non può appartenerle, per anagrafe, per cultura, per estrazione sociale. La figura della madre italoamericana è sempre legata, nei romanzi di Fante, a un’estrema e superstiziosa religiosità, a differenza della figura della madre americana: ma in questo romanzo la giovane americana Joyce, nel momento in cui s’appresta a diventare madre, diventa una vecchia madre italoamericana. Come se diventare la madre di una famiglia unita (e in Full of life si dà per scontato che Joyce sarà la matriarca di una famiglia unita e felice) non sia possibile per un’americana – ma solo per un’italoamericana.
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