In principio era il Verbo. E alla fine? George Steiner e la crisi dell’umanesimo
L’età del libro
Tra la definizione degli antichi come ‘libri viventi’, coniata da Montesquieu negli anni Trenta del Settecento, e la lettera a Verlaine, datata novembre 1885, nella quale Mallarmé immagina il libro universale, anonimo e indistinto coagulo della scrittura del mondo, si consuma secondo Steiner “the classical age of the book, the time in which books, as material facts, as moral concepts, mark a principal focus of the energies of civilization.” (1968, 155). L’età classica del libro coincide con l’età dell’alfabetizzazione di classe della borghesia: un processo nel corso del quale si solidificano una grammatica condivisa, un immaginario culturale comune, tendenze stilistiche convergenti, temi e motivi che formano un orizzonte simbolico compatto dal quale si ‘staccano’ le declinazioni individuali. Un patrimonio di lunga durata, che assume e rifunzionalizza la cultura classica, fornisce il tessuto sul quale si ritagliano metafore, allusioni, rimandi. Una comune fiducia nella consistenza del linguaggio e nelle sue capacità creative determina la dicibilità del reale, la possibilità cioè di rappresentarlo compiutamente e di comprenderlo, sostenuta da un sistema di certezze epistemologiche ed ermeneutiche che tornano a riempire di senso la metafora del libro del mondo, garantendone la leggibilità.[6]
La rete dei libri costruisce il socioletto di una civiltà che ha creato due condizioni indispensabili per l’affermarsi della lettura: l’inviolabilità del privato e la centralità dell’individuo come nucleo fondamentale della società. Sono le coordinate che disegnano il perimetro della biblioteca, entro il quale si compone il silenzio necessario al raccoglimento intellettuale. L’edificazione di uno spazio protetto da riservare all’atto di lettura è un processo radicato nella nascita della cultura tipografica: il libro a stampa fissa il testo e lo sottrae alla dimensione orale, crea il lettore afono che nel fronteggiamento autonomo del libro si riconosce come individuo, singolare ma ‘tecnicamente riproducibile’ come i supporti che lo informano.[7]
Il rapporto esclusivo e individualizzante con il libro è certamente una delle prerogative della cultura umanistica, che concepisce lo specchio della pagina anche prima dell’invenzione della stampa.[8] Tuttavia la dimensione privata della lettura, e quindi la trasformazione della cultura in capitale simbolico da investire nel campo delle forze sociali, si perfeziona con la grande accelerazione semiotica prodotta dalla prima rivoluzione industriale, e quindi con l’affermarsi della società borghese: quando l’età classica del libro era agli albori, la biblioteca era uno spazio ibrido, di frontiera, dal quale un gentiluomo poteva uscire equipaggiato da cavaliere, e nel quale era ancora necessario che intervenissero il barbiere e il curato, a normalizzare le pratiche di lettura. Per don Ferrante invece, sulla cui biblioteca secentesca riverbera l’Ottocento borghese di Manzoni, la stanza dei libri è un luogo messo a riparo dalle interferenze della ‘comunità’, ovvero dalla tirannide della carità esercitata da donna Prassede.
Quando dalle file dei libri comincia a comporsi il Livre interconnesso e compresente della modernità avanzata, lo spazio autonomo, privato, silenzioso, individuale della lettura viene lentamente eroso. La cultura è investita da una retorica partecipativa, e l’accesso generalizzato all’istruzione alluviona le stanze del sapere.[9] La civiltà della lettura si trasforma in una civiltà del commento, che perde contatto con i testi e soprattutto con il tessuto dei significati nel quale i testi si inscrivono. Una cultura anti-intellettualistica e anti-umanistica si diffonde contrapponendo all’educazione fondata sui libri un modello formativo che si rivolge senza mediazioni all’esperienza, rendendo socialmente e psicologicamente accettabile il ritorno dell’analfabetismo. Il sistema scolastico tende a trasformarsi in una forma di “organised amnesia.” (1978b, 8). I media audiovisivi rompono il silenzio che protegge l’atto della lettura. E frammentano i processi di comunicazione, sbilanciandoli verso l’interattività, il coinvolgimento pubblico, l’atomizzazione delle durate. Scatenando una competizione feroce per l’accaparramento della risorsa scarsa per eccellenza: l’attenzione.
È soprattutto nel suo rapporto col tempo che si misura la profondità della cesura che ha investito la cultura: il tempo della lettura è contratto, e la dimensione cronologica nella quale un’opera ambisce a collocarsi non è piú quella che tende all’eternità. Il libro tascabile esce dal tempo sospeso della biblioteca per collocarsi nel flusso sincopato, schiacciato sul presente, della comunicazione.[10] I media audiovisivi assorbono porzioni sempre piú ampie della creatività sociale. La testualità si diffrange nel reticolo delle possibilità mediali: le piattaforme espressive della contemporaneità consentono un ingente trasferimento della parola dallo scritto alla performance e all’evento, nelle loro diverse articolazioni. Si accentuano le “opaque yet vital contiguities” (1978b, 3) tra testo e contesto. Che determinano la necessità di sfumare tipologie di scrittura, generi, forme: lo statuto del testo si fa incerto, i margini si sfocano, e a chiudere la compiutezza del senso deve intervenire un lettore collaborativo e ricreativo. Il testo esiste nella ideale riscrittura competitiva del lettore.[11]
Quando il Livre di Mallarmé si propone come l’onnicomprensivo testo dei testi, ingloba, e nello stesso gesto nega, ogni possibile contesto. Per leggere questo nuovo libro composto dal sistema di tutti i libri e di tutti i segni, la critica letteraria deve diventare filosofia del linguaggio, una disciplina nuova che “si dedicherà allo studio della letteratura con un’intesità particolare; ma considererà la letteratura inevitabilmente coinvolta nelle strutture piú ampie della comunicazione semantica, formale, simbolica.” (1972a, 12). L’ambiente semiotico costituito dalla rete e dalle tecnologie digitali ha chiarito e approfondito la necessità di questo aggiornamento degli strumenti interpretativi. Il ‘libro’ come principio di unificazione e organizzazione del discorso, e come forma simbolica capace di determinare una precisa immagine del mondo, si decostruisce nel labirinto multidimensionale delle nuove articolazioni della testualità. La filosofia del linguaggio invocata da Steiner come evoluzione della critica dovrà piuttosto strutturarsi come una scienza dei linguaggi, che possa decifrare le tante ‘scritture’ che stanno ridisegnando in profondità la fisionomia delle pratiche letterarie.
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