Bruno Munari: teoria e pratica della creatività
Nel corso della sua settantennale carriera creativa, Bruno Munari (1907-1998) sperimentò un'ampia gamma di tecniche e generi, anticipando e influenzando molte tendenze successive. Tuttavia, egli fu non solo artista e designer, ma anche sofisticato intellettuale e scrittore prolifico, come testimonia la sua intensa attività pedagogica, di divulgazione e narrazione attraverso oltre centottanta libri. Il presente contributo analizza la produzione scritta di Munari in relazione al tema della creatività, centrale nel suo lavoro, mediante l'analisi comparativa di una serie di testi e di opere d'arte visiva. In particolare, trarremo spunto dai libri didattici Fantasia (1977) e Da cosa nasce cosa (1981), in cui Munari tenta di spiegare come interagiscono fantasia, invenzione, creatività e immaginazione e fornisce regole pratiche per stimolare e alimentare le capacità creative di bambini e adulti. Come parole e immagini suggeriscono, il processo creativo munariano incorpora deliberatamente idee, invenzioni e materiali eterogenei. L'approccio dell'artista non è sequenziale e lineare, bensì fondato su una tridimensionalità cognitiva, che si traduce nella rielaborazione e risemiotizzazione di un'idea in molteplici segni e forme.
1. Munari e la creatività in immagini e parole
Tra i massimi artisti e designer europei del XX secolo, vera e propria icona del disegno industriale italiano, Bruno Munari (1907-1998) (fig. 1) è stato anche uno dei teorici più pratici a occuparsi di arte e di design nel Novecento. Il suo contributo intellettuale si colloca nell'ambito del fare, ed è radicato in un'azione artistica estesa oltre settant'anni. Per tale lasso di tempo, in accordo con un'idea di arte in cui laboratorio e costruzione collettiva sono concetti fondanti, teoria e pratica vanno a braccetto.
Ogni sperimentazione creativa di Munari ha infatti trovato una forma teorica in numerose pubblicazioni scritte, il cui fine non è solo narrare il proprio lavoro di artista, ma anche stimolare l'interazione del pubblico con la sua opera (cf. Hàjek 2012, 21). "Preciso designer di macchine fantastiche," osserva Stefano Bartezzaghi, "Munari applicava procedimenti analoghi anche al linguaggio, che per lui è un altro fra i tanti dispositivi, artificiali e naturali, che nel mondo si aiutano l'uno con l'altro a superare le proprie lentezze, stanchezze e pigrizie" (Bartezzaghi 2016, [16s.]). Spiegare a parole il proprio lavoro e coinvolgere il pubblico stesso nell'atto creativo è stata la strategia maieutica impiegata dall'artista per rendere la società più consapevole dei problemi estetici della modernità (cf. Hàjek 2012, 21).
Fig. 1: Bruno Munari mostra Alta Tensione, Galleria Vismara, Milano 1991. Courtesy Archivio Fotografico Enrico Cattaneo. © Bruno Munari. Tutti i diritti riservati alla Maurizio Corraini s.r.l.
Tuttavia, mentre aspetti specifici della produzione visiva di Munari hanno ricevuto attenzione critica, stimolando un numero crescente di studi e approfondimenti, il suo uso della parola a oggi è stato esplorato limitatamente (cf. Zanoletti 2017, 193-225; 2015b, 107-110; 2015c, 122-125). Questo malgrado dal 1929 al 1998 l'artista abbia pubblicato oltre centottanta libri che includono trattati sull'arte e sul design, pubblicazioni dalla grafica sperimentale, libri didattici e libri cosiddetti per l'infanzia (cf. Maffei 2008; Antonello 2019, 331-351; Campagnaro 2019, 81-96; 2016, 93-105). Munari considerava i libri opere d'arte a tutti gli effetti e, nello stesso tempo, come un tramite preferenziale per comunicare il suo pensiero, mettendo per iscritto i suoi progetti visivi, traslandoli a un livello di lettura diverso e illustrando ogni tecnica e risultato. "Giocando d'anticipo" rispetto alla critica d'arte, con i suoi libri Munari ha storicizzato autonomamente il suo operato; sia perché, erede futurista e spirito libero, non aveva bisogno di critici e curatori, sia per smitizzare lo stereotipo consolidato dell'artista romantico e distante dalla massa.[1] La produzione di libri assecondava inoltre l'idea munariana che un oggetto artistico non dovesse essere in qualunque caso un "pezzo unico", privilegio di pochi, ma che potesse talvolta collimare con una produzione seriale; e metteva in luce l'esigenza da parte di Munari di favorire un accesso all'arte antielitario. Un accesso open-source: collettivo, demitizzato e democratico.
Questo contributo esplora il legame tra le sperimentazioni visive di Munari e la sua produzione scritta soffermandosi sul tema della creatività, uno dei leitmotiv della sua opera (cf. Belpoliti 2016; Zanoletti 2015a, 95-98). Secondo Munari, la creatività è una capacità produttiva e concreta, da coltivare e accrescere, che collega fantasia e ragione. Come vedremo, gli scritti munariani affrontano l'argomento della creatività e del processo creativo raccontando come la sua opera è stata concepita e realizzata. Sono inoltre ideati per stimolare e sviluppare l'intelligenza e l'inventiva di chi legge, attraverso l'uso ipertestuale di parole, forme, colori e materiali. In parallelo, il tema della creatività permea la produzione visiva di Munari, che illustra tangibilmente il suo modus operandi, svela i meccanismi mentali implicati, l'intervento dell'immaginazione o del caso e le fasi della costruzione dell'opera stessa.[2] Viste da questa prospettiva, anche queste opere sono contributi pedagogici open access sulla creatività.
Il percorso di analisi offerto indaga l'evoluzione della filosofia estetica di Munari senza ricorrere a una classificazione cronologica o per serie di opere, bensì individuando alcune linee di raccordo tra gli ambiti verbale e visuale e mettendo in luce la consonanza e la complementarietà tra produzione visiva e produzione scritta. In questo senso, sulla scia di quanto suggerito da Miroslava Hàjek in un recente contributo critico, tenteremo di adottare un approccio multidisciplinare e multi-direzionale (Hájek 2012, 15).
2. Ma chi è Bruno Munari?[3]
Perché la ricerca estetica di Munari dovrebbe esigere un approccio multidisciplinare e multi-direzionale? La risposta è semplice quanto complessa: perché si tratta di un artista molteplice, pluridimensionale, politecnico. Personalità a cavallo tra arte, design, grafica, invenzione, pensiero, scrittura, critica, pedagogia, cinema, fotografia, e altro ancora, ben gli si addice la sintesi interpretativa offerta da Luciano Caramel, che lo descrive come un artista totale.[4]
Caramel sottolinea che il metodo munariano è "unitario e polidimensionale" e che in esso si fondono "razionalità e fantasia, calcolo e invenzione, progetto e caso, manualità e tecnologia". Ma l'aspetto più totale, secondo il critico, è "la concezione globale della vita e del mondo", ovvero il rapporto tra uomo e natura che, a detta di Caramel, "è alla base di tutto, e tutto motiva e determina".[5] In altre parole, sembra suggerire Caramel, Munari era multidimensionale anche nel pensiero, e solo un approccio globale può rivelarsi utile per comprendere la sua opera. In questo senso anche Hàjek parla di multipolarità cognitiva, e non solo espressiva:
L'opera di Munari sorprendeva l'osservatore partendo da un concetto essenziale e andando avanti a esplorarlo da tutte le prospettive possibili e in ogni possibile forma. Ciò significa che qualunque approccio alla sua ricerca estetica dev'essere multi-direzionale. Fu lo stesso Munari ad affermare che è necessario pensare in almeno tre dimensioni. (Hàjek 2012, 15)[6]
Il paradigma della totalità è certamente legato al Futurismo,[7] che ispirò la prima fase del percorso dell'artista. Tuttavia, la multipolarità, poliedricità e politecnicità di Munari sono testimoniate soprattutto dalla complessa gamma di tecniche intraprese e di opere prodotte, capace di influenzare e anticipare movimenti e manifestazioni successivi come l'arte cinetica, lo spazialismo, l'arte concettuale, l'Arte Povera e la bio mimetica. Di fatto, soprattutto a partire dai primi anni Cinquanta, Munari capisce che l'arte "pura", staccata dal quotidiano non è utile alla società nella misura in cui lo era stata fino a quel momento e pone l'attenzione su una gamma di settori che includono l'architettura, il cinema, l'editoria e soprattutto il design, promuovendo l'idea bauhausiana di integrazione e "sintesi tra le arti" (Munari 1966, 19).
È forse questo il motivo per il quale una figura così poliedrica, sempre intenta a testare l'agilità mentale dei suoi interlocutori, è a lungo rimasta e per molti versi rimane a tutt'oggi un caso sfuggente. In gran parte, anzi, un caso marginalizzato e nascosto (cf. Cantelli 2018, 114-116). Come rileva Gillo Dorfles, "lui non era né un pittore, né un designer, né un pedagogo, ma era tutte queste cose insieme, e tale caratteristica lo rende un caso unico non solo nel panorama italiano, ma anche in quello mondiale" (Fiz 2004, 123-125). L'ingegno leonardesco di Munari ha messo in moto un ventaglio totalizzante di discipline, pratiche, idee e influenze.
E in virtù di questa totalità, a prescindere dalla moltitudine di opere prodotte e dalla varietà impressionante del suo lascito, l'opus munariana è concettualmente coerente. Lo standard di qualità delle sue opere, che si mantiene altissimo dall'inizio alla fine della sua carriera, è intimamente legato alla centralità nel suo lavoro della sperimentazione e della creatività,[8] nozioni che incarnano alla perfezione la sua ricerca estetica. Ecco perché questo tema ed ecco perché, a parere di chi scrive, una comprensione più approfondita di cosa significasse creatività per Munari permette di comprendere più globalmente la sua opera.
3. Fantasia e creatività
L'artista lavora con la fantasia, il designer usa la creatività, amava ripetere Munari. Come ha osservato Paola Antonelli, le sperimentazioni munariane negli ambiti di arte e design scaturiscono dal fervore creativo dell'artista, mentre la fase immaginativa é affidata al pubblico. Permettendo in tal modo all'arte di diventare un dispositivo esperienziale, basato sull'interazione (cf. Antonelli 1999, 92). Serie cinetiche e fluttuanti come la Macchine inutili, lo vedremo più avanti, ridisegnano il contesto spaziale: l'oservatore risulta immerso in un ambiente multidimensionale dove un refolo d'aria, il calore e il colore di una fonte luminosa e la presenza e la posizione del fruitore nella stanza danno vita a forme in continuo fieri. Nei Negativi-positivi ogni elemento della composizione occupa sfondo o primo piano a seconda dell'interpretazione sensoriale di chi osserva. In questi e molti altri casi, l'intervento della casualità e quello immaginativo del fruitore integrano l'inventiva dell'artista, in una sorta di "opera aperta".
Questo tema è al cuore di Fantasia, libro didattico pubblicato per la prima volta nel 1977. Leggero in superficie ma profondo nella sua essenza, concepito come un manuale per ragazzi e insegnanti di scuola, Fantasia è in realtà un ossimoro letterario, ovvero un saggio anticonvenzionale, ricco di excursus divertenti, illustrazioni e digressioni tipografiche. Nelle prime pagine del volume, ricorrendo a una orchestrazione grafica sperimentale l'autore definisce la fantasia, l'invenzione, la creatività e l'immaginazione in relazione all'intelligenza e alla memoria:
Fantasia
Tutto ciò che prima non c'era anche se irrealizzabile.
Invenzione
Tutto ciò che prima non c'era ma esclusivamente pratico e senza problemi estetici.
Creatività
Tutto ciò che prima non c'era ma realizzabile in modo essenziale e globale.
Immaginazione
La fantasia l'invenzione la creatività pensano, l'immaginazione vede. (Munari 1977, 8-15)
A partire da queste definizioni aforistiche, Munari analizza le possibilità di fantasia, invenzione, creatività e immaginazione nell'ambito della comunicazione visiva, proponendo una serie di esercizi pratici per stimolare l'elasticità mentale e la capacità immaginifica di bambini e adulti. Nonostante l'artista non abbia instaurato contatti diretti con la pedagogia attiva, questa operazione segnala una possibile influenza delle teorie costruttiviste, che stabiliscono un legame tra sviluppo del pensiero creativo e apprendimento attivo:[9]
Se vogliamo che il bambino diventi una persona creativa, dotata di fantasia sviluppata e non soffocata (come in molti adulti) noi dobbiamo quindi fare in modo che il bambino memorizzi più dati possibili, nei limiti delle sue possibilità, per permettergli di fare più relazioni possibili […]. (Munari 1977, 30)
Con queste parole, Munari incoraggia la partecipazione attiva dei bambini come strumento per ampliare le loro capacità percettive: non soltanto la visione, ma anche le sensorialità acustica, tattile e ritmica. Una percezione in 3-D, propone l'artista, è requisito fondamentale per oltrepassare la convenzionalità espressiva.
L'interesse (meta)pedagogico di Munari è forse all'origine del binomio da lui teorizzato tra creatività e progetto, e tra creatività e metodo globale, olistico:
La creatività è […] un uso finalizzato della fantasia, anzi della fantasia e dell'invenzione, in modo globale. La creatività è usata nel campo del design, considerando il design come modo di progettare, un modo che, pur essendo libero come la fantasia e esatto come l'invenzione, comprende tutti gli aspetti di un problema […]. (Munari 1981, 17s.)
Lo stile saggistico della prosa di Munari in Fantasia, evidente in questi stralci, è talvolta attenuato, altre volte esaltato dalle illustrazioni. Le immagini sono spesso accostate al testo con effetto spiazzante e ironico, e per enfatizzare la semplicità e la varietà alle argomentazioni. In realtà, come svela la lettura attenta di un campione più allargato di testi, al pari della polifonia di tecniche espressive e comunicative impiegate in ambito visivo, anche la scrittura di Munari è una costellazione di voci.[10] Include materiali di riporto e note a margine, gioca su più livelli grafici, adotta un linguaggio semplice, ma denso (cf. Belpoliti 2016).
Il connubio tra creatività e metodo è al centro di un altro saggio illustrato di Munari, Da cosa nasce cosa (1981), che tratta le implicazioni pratiche e metodologiche della creatività. Qui la creatività è annoverata tra le fasi fondamentali che conducono alla risoluzione di un problema:
Creatività non vuol dire improvvisazione senza metodo: in questo modo si fa della confusione e si illudono i giovani a sentirsi artisti liberi e indipendenti. La serie di operazioni del metodo progettuale è fatta di valori oggettivi che diventano strumenti operativi nelle mani di progettisti creativi. […] Il metodo progettuale […] non è qualcosa di assoluto e di definitivo; […]. E questo fatto è legato alla creatività del progettista che, nell'applicare il metodo, può scoprire qualcosa per migliorarlo. (Munari 1981, 17s.)
Questa enfasi su oggettività e metodo in relazione al processo creativo allude alla tendenza di Munari a descrivere la propria arte come puro procedimento tecnico e meccanico, in contrasto con la visione moderna dell'artista-genio, che lo descrive come un elitario illuminato escluso dal vivere comune.[11] Creatività come processo, più che come risultato. E seppure si tratti di un processo che conserva un lato surreale e imperscrutabile, in modo divertito ma serio Munari sembra voler demistificare un cliché, inimicandosi a lungo la critica storica italiana (fig. 2).
Fig. 2: Bruno Munari, Poeta incompreso, 1933. Tecnica mista su carta, 27.8 x 21.8 cm. Fondazione Massimo e Sonia Cirulli, Bologna.© Bruno Munari. Tutti i diritti riservati alla Maurizio Corraini s.r.l.
4. (D)alla teoria (d)alla pratica
In Fantasia, Munari non si limita a definire l'arte e la creatività, ma suggerisce un vero e proprio metodo creativo, basato su una serie di regole. Fondendo modello normativo e modello eversivo (cf. Munari 1977, 195), queste regole definiscono le varie modalità di intervento trasformativo sull'esistente o sull'immaginato. Secondo l'artista il modo più diretto per allenare la creatività, come nella topologia, è quello di studiare e modificare le caratteristiche di un oggetto intervenendo su una variabile alla volta, attraverso:
capovolgimento
ripetizione
affinità visive
cambio di colore
cambio di materia
cambio di luogo
cambio di funzione
cambio di moto
cambio di dimensione
fusione di diversi elementi in un unico corpo
In effetti, la definizione stessa di "arte programmata", movimento di cui Munari fu uno dei fondatori nel 1962, implica un tipo di progettazione in cui sono ammesse infinite variazioni su un unico tema. In altre parole, Munari artista basa la sua ricerca sul presupposto che cambiamento e variazione siano le testate d'angolo della creatività.
In Fantasia, Munari offre svariati esempi per ogni tipo di trasformazione suggerito. E' tuttavia possibile visualizzare questi principi non soltanto leggendo gli esempi esposti nel libro, ma scandagliando l'intera sua opera. Vediamo insieme qualche caso.
capovolgimento:
Il principio creativo numero uno è per Munari il capovolgimento, che l'autore compendia con un titolo emblematico (Munari 1977, 38):
Il carattere totale dell'opera di Munari implica la coesistenza coerente di contrari, opposti e parti complementari, un principio che rimanda molto da vicino alla cultura zen, conosciuta e ammirata dall'artista. Sia la sua produzione visiva, sia il suo uso del linguaggio segnalano il rovesciamento dinamico come un meccanismo creativo fondamentale.
Un chiaro esempio di rovesciamento sono le già citate "macchine inutili" (1933-1934), oggetti da appendere al soffitto realizzati con materiali poveri e leggeri, omaggio cinetico al dadaismo sotto forma di composizioni di forme geometriche e organiche; macchine prive di funzionalità e sacralità futuriste, create per puro piacere estetico, stimolazione sensoriale e divertimento. Secondo Munari, "una macchina inutile che non rappresenti assolutamente nulla è il congegno ideale grazie a cui possiamo tranquillamente far rinascere la nostra fantasia, quotidianamente afflitta dalle macchine utili" (Munari 1937).
Il nome stesso "macchina inutile" è un ossimoro, e sintetizza il contrasto tra l'idea di utilità (di solito associata alla macchina) e quella di inutilità (di solito associata all'arte). Ancora più paradossale è la relazione tra movimento casuale, imposto dalla leggerezza dei materiali, e programmazione delle forme: un contrasto che segnala la volontà dell'artista di inglobare il caso come variabile espressiva della composizione, spezzando rigidezza e ripetitività (cf. Antonello 2009, 313-334).
Anche la serie di "libri illeggibili", inaugurata nel 1949 e sviluppata fino ai primi anni novanta, gioca sul principio del rovesciamento. Questi libri, privi di parole ma ricchi di colori, forme, materialità, ritmo e proporzioni grafiche, sovvertono le caratteristiche del libro tradizionale eliminando, ad esempio, il titolo e il nome dell'autore sulla copertina, la pagina interna dedicata al titolo, l'indice, e gli stessi contenuti verbali, in favore dell'espressività tattile e visiva (cf. Antonello 2019; Zaffarano in AA.VV. 2020, 314).
Nei libri illeggibili, carta, spessore, trasparenza, colore e formato delle pagine si fanno carico di contenuti semantici specifici. Questi libri sono pensati per i bambini ma seducono anche gli adulti, perché soddisfano un bisogno formativo basato sui principi di relazione e intelligibilità, superando gli stereotipi comportamentali e cognitivi. Linee di colore, buchi, trasparenze e sovrapposizioni creano illusioni di movimento, rendendo questi oggetti non semplici esemplari da ammirare, ma strumenti con cui interagire in modo attivo. Echeggiando in modo sinestetico il protolinguaggio futurista, i "libri illeggibili" di Munari mostrano come un linguaggio puramente visivo, pur imitando un oggetto letterario, possa aprire nuovi livelli comunicativi inaccessibili alle parole.
ripetizione:
Secondo il principio della ripetizione, se moltiplichiamo un oggetto per n volte, otterremo di enfatizzare una forma, un colore o una funzione particolari. Un esempio? La matrëška, bambola russa che contiene altre bambole, una dentro l'altra.
Fig. 3: Bruno Munari, piastrella Tuttotondo per Gabbianelli, 1982. © Bruno Munari. Tutti i diritti riservati alla Maurizio Corraini s.r.l.
Un meccanismo simile è alla base dei progetti di design "Tuttotondo" e "Tuttoquadro", elaborati da Munari per la Gabbianelli nel 1982 (fig. 3) (Munari/Finessi 2007). Per questi due progetti, derivati da una serie di sperimentazioni tecniche realizzate dal 1960 al 1981, Munari disegna una serie di piastrelle quadrate in cui gioca con la ripetizione di palindromi geometrici come il quadrato e il cerchio, introducendo qua e là variazioni minime per innescare l'ironia, creare dinamismo e attivare un effetto ottico. Queste ricerche nell'ambito dei meccanismi della percezione visiva testimoniano la complessità che si cela dietro l'essenziale semplicità, vessillo dell'opera di Munari.
Ma la ripetizione era particolarmente evidente anche nella litografia realizzata nel 1936 in occasione delle Olimpiadi di Berlino (fig. 4), opera grafica in cui, a livello visivo come sul piano verbale e semantico, la reiterazione è protagonista. "200.000 spettatori", in cui gli zero sono cinque ma gli spettatori molti di più, "L. 7 la copia", espressione che richiama la serialità; l'anaforico "ogni giorno"; e ancora, le cifre riportate nella parte inferiore del manifesto enfatizzano la numericità, la ripetizione con variazione. Nello stesso tempo, fa eco al testo la ripetizione degli spazi bianchi verticali alternati a spazi pieni che richiamano solenni colonne, emulando l'architettura imponente del tempo.
In Olimpiadi di Berlino, le parole compartecipano alla composizione visiva e plastica dell'opera.
Fig. 4: Bruno Munari, Olimpiadi di Berlino, 1936. Litografia, 80x60 cm. The Merrill C. Berman Collection, Rye, New York.© Bruno Munari. Tutti i diritti riservati alla Maurizio Corraini s.r.l.
Così come, nel libro Alfabetiere. Facciamo assieme un libro da leggere, pubblicato per la prima volta da Einaudi nel 1960, Munari invita il lettore bambino a ritagliare e incollare su ciascuna pagina del libro, strumento prescolastico interattivo, quante più lettere uguali possibili. Le lettere accerchiano scioglilingua fonemici, giocose tiritere o fluidi nonsense che rimandano alle poesiole per fanciulli contenute in ABC Dadà, prototipo editoriale e opera d'arte in un solo esemplare prodotta nel 1944 (cf. Schnapp 2012, 83-93; 2017, 115-131) e, ancora prima, ai collage degli anni Trenta, ispirati alle onomatopee futuriste (fig. 5).
Fig. 5: Bruno Munari, rRrR (Rumore di aeroplano), 1927. Inchiostro e collage su carta, 38 x 27 cm. Fondazione Massimo e Sonia Cirulli, Bologna. © Bruno Munari. Tutti i diritti riservati alla Maurizio Corraini s.r.l.
In modo totale, sinestetico e sintetico, codici visivi e verbali si fondono e confondono nello spazio bianco della pagina.
affinità visive:
Secondo un terzo principio, quello delle affinità visive, "ogni cosa può essere vista anche in altri modi" (Munari 1977, 64), come quando trasformiamo un pennello in una pennellessa, un immaginario pennello con due graziose treccine laterali (fig. 6).
Fig. 6: Bruno Munari, Fantasia: invenzione, creatività e immaginazione nelle comunicazioni visive, 18 x 11 cm. Bari: Laterza, 1977, p. 65. Fotografia di Raffaele Tamburri. © Bruno Munari. Tutti i diritti riservati alla Maurizio Corraini s.r.l.
Per la sua pennellessa, Munari trae ispirazione dalla lingua italiana. Se nel dizionario la parola "pennellessa" indica semplicemente un grosso pennello di forma piatta e larga, usato da verniciatori, imbianchini e pittori, per l'artista la parola diventa il femminile di "pennello", così come "contessa" è il femminile di "conte", "studentessa" di "studente", e così via. È un caso tipico in cui Munari amalgama elementi visivi e verbali per creare, per assurdo, un pun,un gioco di parole.
Parole e immagini si intrecciano in un altro esempio di affinità visive: le famose "forchette parlanti" di Munari, che traducono un semplice oggetto di uso comune in una serie di personaggi semioticamente umani, riproponendo tutte le gestualità espressive della mano (come nel libro coevo Supplemento al dizionario italiano) (Munari 1958a) e trasformando la percezione del quotidiano con nuove morfologie.
Fig. 7: Bruno Munari, Le forchette di Munari, 210 x 70 mm. [Milano], La giostra (Arti grafiche F. Ghezzi), 1958. Fotografia Libreria Antiquaria Pontremoli, Milano. © Bruno Munari. Tutti i diritti riservati alla Maurizio Corraini s.r.l.
Nel libro multilingue del 1958 dedicato proprio alle sue "forchette" (fig. 7), i disegni delle forchette parlanti sono corredati da parole o frasi corrispondenti a ciascun oggetto (cf. Munari 1958b). Risultato: le affinità visive tra l'oggetto forchetta e la gestualità umana sono enfatizzate sul piano intersemiotico dall'aggiunta delle parole.
cambio di luogo:
Infine, anche un cambio di luogo può essere un alibi potente per ottenere una trasformazione creativa. Luogo può senz'altro voler dire uno spazio fisico, come nel caso degli "oggetti trovati" di Munari, progetto espositivo tenuto a Milano nel 1951. Per questa mostra, Munari raccolse una serie di ready-made organici come sassi, conchiglie e sabbia, che nell'allestimento erano esibiti come oggetti interessanti come se osservati per la prima volta. Attraverso un dislocamento, Munari richiama l'attenzione alla natura e ai suoi processi morfologici come fonte di ispirazione per creazioni formali (cf. Munari 1971, 132-135).
Ma il luogo può anche essere un luogo metaforico, ed è questo il caso dei "disturbi semantici" (1968), una serie di brevi giochi di parole sul suono e sul significato del linguaggio. Frasi come
Il sinistro è stato causato da un mancino maldestro
oppure
Nel corpo dei bersaglieri non c'è posto
per un'anima di gallina (ibid., 114)
sono chiaramente caratterizzate da un dislocamento semantico, basato su fenomeni come l'assonanza, la consonanza, l'allitterazione e la paronomasia. Munari gioca con il significato ambiguo di una serie di vocaboli, che combina in brevi frasi in cui il linguaggio abdica al suo scopo comunicativo tradizionale, e il significato letterale risulta divertente e intelligente.
Un ultimo esempio di cambio di luogo è l'illustrazione di Munari in cui il suo cognome è tradotto dall'espressione giapponese "mu-nari", che significa "fare dal nulla" (fig. 8).
Fig. 8: Valeria Tassinari, Ma chi è Bruno Munari?, 16 x 12 cm. Mantova, Corraini 1996, p. 11.© Bruno Munari. Tutti i diritti riservati alla Maurizio Corraini s.r.l.
In questo caso si può parlare di comunicazione multimodale, perché codici visivi e verbali si sovrappongono. L'utilizzo da parte di Munari degli ideogrammi giapponesi occupa la zona di passaggio tra il suo ritratto fotografico (sulla sinistra) e il commento scritto a mano dall'artista nella sua madrelingua (sulla destra).
5. Conclusioni
Lungi dal comporre un'analisi esaustiva, la carrellata di esempi illustrati suggerisce che il tema della creatività imbeve l'intera opera di Munari, attraversando serie, periodi, influenze e progetti. Gli esercizi proposti in Fantasia sono infatti rispecchiati nella sua opera e nel suo linguaggio. In tutti i casi riportati sono evidenti il gusto per il gioco, il senso dell'assurdo, l'ironia. Inoltre, ciascun esempio sembra afferire all'indagine munariana, una costante dei suoi settant'anni di carriera creativa, su come una forma si può risemiotizzare in un'altra.[12]
La sperimentazione creativa da parte dell'artista è stata totale e profonda, ed è al cuore di molte sue speculazioni teoriche e linguistiche, compreso il libro Fantasia, che in questo contributo ha orientato l'analisi delle opere, assieme a molti altri testi che accompagnano, completano e in parte anticipano la sua produzione visiva. Per approfondire la discussione, sarebbe proficuo studiare la collaborazione tra Munari e Gianni Rodari,[13] un altro maestro di creatività del Novecento italiano; o la riflessione di Munari sulla relazione tra creatività e tradizione, tra meccanico e organico, e tra processo creativo e mondo naturale.[14] Rimane poi incompiuto un vaglio approfondito e completo del rapporto tra parola e immagine. Da più angolature, l'argomento merita di essere scrutato sotto una lente di ingrandimento.
Tuttavia, a prescindere dagli esempi citati e dai temi affiorati in questa sede, e come molti dei contributi critici più recenti sul lascito intellettuale e creativo di Munari paiono testimoniare, è da ritenersi impensabile rinunciare a un approccio multipolare alla sua opera. Munari, dunque, come autore pluridimensionale anche nel pensiero, cosciente della propria funzione sociale a tutto campo e con una visione creativa relazionale e dialogica. Una visione che trova "spiragli di senso non ancora praticati, pieghe di possibilità lasciate sinora in ombra, accezioni nuove per le parole e le cose più comuni" (Bartezzaghi 2016, [27]).
How to cite | Come citare: Zanoletti, Margherita (2020), "Bruno Munari: teoria e pratica della creatività." In lettere aperte vol. 7, 39-55. [permalink: https://www.lettereaperte.net/artikel/numero-72020/453]
Bibliografia
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