poesie. pose. polemiche. München, November 2012
Dalla fine degli anni Ottanta ad oggi diversi critici, scrittori e traduttori in Austria ed in Germania si sono cimentati con la traduzione di un consistente numero – ovvero di diverse decine – delle poesie di Valentino Zeichen[1], sforzandosi di farne apprezzare, anche in lingua tedesca[2] la peculiare “vena poetica”. Queste fioriture singole, tuttavia, non permetteranno all’autore di ‘abitare’ durevolmente la lingua tedesca, e neppure alla maestria nella tessitura del suo linguaggio poetico di essere recepita da chi fa poesia al di qua delle Alpi.
Per ora, nessuno ha voluto sostenere il progetto di pubblicare un’antologia dei versi di Zeichen in lingua tedesca – un’impresa auspicabile, da realizzare, semmai, a più mani, ovvero unendo le competenze eterogenee dei vari traduttori al fine di sfruttare al meglio le intuizioni di ognuno.
Ma come spiegare l’estro di questo autore, quel suo “inconfondibile accento elegante e talora svagato” (Maurizio Cucchi) lontano da ogni precettistica ideologica e morale? Egli non ha mai utilizzato la poesia come mezzo per divulgare temi scomodi, per accusare o criticare, ma piuttosto – ligio al “canone occidentale” – ha seguito quei dettami divini che toccano anche le corde di un’anima laica. I suoi spunti sono le dimensioni del bello, del nuovo e dello stravagante, presenti in ogni cosa in cui s’imbatte e che – esteticamente, intellettualmente o materialmente – sappia stupirlo al punto da infondere ‘sacralità’ ai suoi versi.
A differenza degli autori neoavanguardisti, dai quali si è presto distaccato pur riconoscendone le importanti innovazioni formali, Zeichen ha ripristinato la funzione diegetica e metaforica della poesia tradizionale, adattando però il ritmo e le immagini della propria narrazione alla rapidità cinematografica della nuova realtà virtuale. Allo stesso tempo ha ridato peso al ‘signifié’, cioè ai contenuti, non limitandosi alla ricerca di linguaggi nuovi, veicolati da un tipo di ‘signifiantes’ incentrato su tecnicismi o pseudotecnicismi e caratterizzato dalla mescolanza dei codici linguistici.
Il nostro è un poeta ricco senza denari, un uomo grintoso e schietto, capacissimo di costruirsi una propria facciata di rispettabilità e di mantenerla – grazie alla sua voce "in sospeso tra ironia metafisica e frivola mondanità, esibizionistiche lepidezze e verità rabbiose" (Niva Lorenzini) – con grande leggerezza ed ironia. Il suo gusto di strappare una cena agli ambienti dell’alta società, per esempio, non tradisce un atteggiamento parassitario, ma risulta senz’altro giustificato dall’arte della conversazione.
Zeichen – scrittore moderno, metapoetico, la cui originalità è stata discussa dal grande ellenista, poeta svedese e membro della giuria del Premio Nobel per la Letteratura Jesper Svenbro, in una delle quattro conferenze tenute nel febbraio 2013 al Collège de France[3] –, pur estromesso dalla corte principesca che fu, e relegato nella sua baracca urbana, rinuncia a un impiego fisso, se ne infischia di pagare i contributi per la pensione e, a stretto contatto con i propri mecenati, circondato da innumerevoli realtà diverse dalla sua, vive serenamente nell’elemento della poesia.
Antonio Staude[4]
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